Questo è il blog di Giovanni Orlando. L’alto numero di visitatori in continuo esponenziale aumento, mi dà l’occasione per ringraziare tutti per le dimostrazioni di simpatia, l’interesse e la partecipazione verso queste pagine. Qui potrete trovare un’ampia selezione di articoli volti ad evidenziare i punti di criticità, le debolezze, l’intrinseco limite del sistema politico e giudiziario attualmente esistente in Italia. Il blog lo fate voi, pertanto la partecipazione attiva degli utenti mediante commenti o contributi alla discussione di qualsiasi natura, è ovviamente da considerarsi fondamentale e sarà assai gradita. Se avete qualche dubbio di carattere legale consultate il menu a destra, probabilmente troverete una risposta nei post già pubblicati. In ogni caso, uno spazio è dedicato alle consulenze legali che, senza alcuna garanzia sui tempi e la professionalità delle risposte saranno gratuite. Se siete interessati ad un consulto professionale entro le 48 ore seguite le istruzioni e consultate le modalità di pagamento. Grazie a tutti e buona lettura.

Appalti alla ‘ndrangheta: indagato sindaco Pd di Serramazzoni

22 settembre 2013 3 commenti

ndranghetaAnche in Emilia la ‘ndrangheta ottiene gli appalti entrando nelle stanze del potere politico. E’ un quadro accusatorio senza precedenti quello che emerge dall’inchiesta della guardia di finanza nel Comune di Serramazzoni, centro di 8mila abitanti sull’Appennino modenese. Il sindaco Luigi Ralenti del Pd, al secondo mandato, è indagato per corruzione e turbata libertà di scelta del contraente in relazione a due commesse pubbliche: il recente ampliamento del polo scolastico (costo 230mila euro) e il project financing da un milione e centomila euro per il restyling dello stadio dove oggi milita la squadra di dilettanti e vent’anni fa segnava i primi goal il futuro campione del mondo Luca Toni. Nel mirino ci sono i lavori edili affidati a una coppia di società a responsabilità limitata, secondo gli inquirenti riconducibili a Rocco Antonio Baglio, considerato la longa manus della cosca Longo Versace di Polistena (Gioia Tauro), e al figlio Michele, una sorta di direttore di cantiere. La delicata inchiesta del Pm Claudia Natalini, poi affiancata dal sostituto Giuseppe Tibis, è partita nel luglio scorso dopo l’incendio doloso che ha devastato la villa di campagna di Giordano Galli Gibertini, ex calciatore del Modena titolare di un’impresa edile. Pochi mesi prima erano stati bruciati anche gli spogliatoi del campo sportivo di Serramazzoni: ignoti avevano impilato le magliette della squadra, versato olio bollente e appiccato il fuoco. Baglio senior è accusato da un lato di aver bruciato la villa del costruttore e poi di aver trovato un accordo col sindaco Ralenti per l’assegnazione degli appalti.

Sono indagati in concorso col primo cittadino l’ingegnere Rosaria Mocella, direttrice della ‘Serramazzoni Patrimonio’, controllata comunale che ha affidato il progetto ad un’associazione temporanea di imprese, e Marco Cornia dell’Ac Serramazzoni, capofila della cordata e già concessionaria dell’impianto sportivo. L’attenzione delle Fiamme gialle, che nei giorni scorsi hanno acquisito centinaia di documenti cartacei e informatici, si è concentrata su un partner dell’Ati, Restauro e costruzioni srl, e una ditta subappaltatrice, Unione group srl. La prima, con ufficio commerciale a Pisa, è intestata a Giacomo Scattareggia, sotto processo a Reggio Calabria per turbativa d’asta in un’inchiesta della Dda locale sulle ingerenze delle cosche negli appalti del Comune di Condofuri, poi sciolto per mafia. Restauro e costruzioni, di fatto gestita da Michele Baglio, avrebbe spinto per l’assegnazione del subappalto di Serramazzoni alla Unione group di Fiorano, intestata alla madre. Azienda con progetti ambiziosi, come riporta il giornale dell’Accademia europea per le relazioni economiche e culturali: già realizzate le opere relative al parcheggio multipiano dell’ospedale di Baggiovara e gli impianti elettrici dell’aeroporto di Lamezia Terme, mentre sono in fieri il centro servizi per il ciclismo di Formigine, i lavori per uno sponsor della Reggina e per le industrie alimentari di kiwi a Polistena e di olio d’oliva a Cittanova. Secondo gli inquirenti modenesi Unione in particolare è riconducibile a una vecchia conoscenza dell’antimafia, Rocco Antonio Baglio. Arrivato trent’anni fa in soggiorno obbligato nel distretto ceramico, fu arrestato dal Ros di Bologna nel 1993 dopo il ritrovamento di esplosivo e mitragliatrici a Torre Maina di Maranello. Nell’allora rapporto dei carabinieri Baglio veniva descritto come “elemento di rispetto dell’Emilia Romagna a cui fanno riferimento tutte le cosche che abbiano interessi nella zona”. Abile affarista, non impiegò molto ad allacciare rapporti con i colletti bianchi locali. Su tutti Renato Cavazzuti, ex direttore di filiale della Cassa di Risparmio di Modena e già in Fininvest Programma Italia, poi collaboratore di giustizia che ha fotografato i meccanismi bancari al servizio delle truffe finanziarie.
E l’avvocato Fausto Bencivenga, arrestato coi Baglio nel lontano 1991 per il crac pilotato della modenese Mida’s. In quel procedimento il figlio Michele, interrogato sulla reale gestione della società intestata a un prestanome, disse che era il padre a “interessarsene economicamente”. A vent’anni di distanza, l’indagine dei Pm modenesi Natalini e Tibis si occupa di contiguità nuove in una regione dove le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico sono rimaste prive di ‘sponde politiche’. Anche se l’accusa di corruzione resta da dimostrare – in Procura vige il massimo riserbo circa gli indizi raccolti – gli incontri del primo cittadino con Baglio sarebbero provati. Nei giorni scorsi sono stati ascoltati dai magistrati l’ingegnere Rosaria Mocella e Marco Cornia, presidente della società sportiva che ha investito nella ristrutturazione dello stadio (con un mutuo di 700mila euro del Monte dei Paschi di Siena garantito dalla Serramazzoni Patrimonio). “Avevo trovato altre due aziende locali ma il bando era talmente ristretto che nessuno aveva i requisiti – ha dichiarato Cornia – così ad un certo punto in Comune mi hanno consigliato i calabresi che avevano già lavorato al polo scolastico. Scattareggia però l’ho visto solo alla firma del contratto”. L’interrogatorio del sindaco Ralenti, che nei giorni scorsi ha assicurato “di aver sempre agito secondo la legge”, è in programma nella giornata di oggi.

http://stefanosantachiara2.wordpress.com/2011/05/25/appalti-alla-ndrangheta-indagato-sindaco-pd/

Maurizio Landini: “Si gioca con la tenuta democratica del paese”

11 settembre 2013 Lascia un commento

Se hai vent’anni vattene dall’Italia

10 aprile 2013 3 commenti

cervellinfuga A un ragazzo che oggi compie 20 anni direi di andare via dall’Italia. Gli direi di prendere la borsa, il cellulare, due libri e un po’ di musica e lasciare questo paese.

Se hai vent’anni vattene.

Vattene perché se hai vissuto i tuoi primi 20 anni in questa nazione non hai visto niente dei cambiamenti del mondo. Sei rimasto indietro. Hai vissuto 20 anni di dibattito pubblico schiacciati sullo scontro pro o contro Berlusconi. Uno scontro fatto di puttane, “giudici comunisti” e Nesta/Balotelli. Uno scontro che ha lasciato un manipolo di anziani a dibattere in tv di un paese che non c’è. Spegni la tv, non imparerai niente da Ballarò o da Servizio Pubblico. E chiudi anche le dispense, la cultura non è una pillola da mandar giù.

Ti direi di andartene perché hai vissuto 20 anni con le stesse metro – ah no a Roma hanno aperto la B1 –, con gli stessi palazzi, con gli stessi Intercity – il Frecciarossa non è alla portata di un ventenne -, con gli stessi regionali. Dovresti andare via per guardare come sono cambiate Londra, Parigi, New York in questi 20 anni. Sei nato all’alba della primavera dei Sindaci ma nel frattempo sei diventato maggiorenne e attendi ancora la linea C a Piazza San Giovanni in Roma. Per te non è cambiato nulla ma il resto del mondo ha corso. Come non mai.

Se fossi partito avresti visto la più grande biblioteca d’Europa traslocare da un Palazzo del XVII secolo ad uno consono alla fruizione della cultura. Perché i libri, i reperti, non servono a nulla se non possono essere fruiti. Avresti visto una metropolitana che viaggia a 90km/h senza conducente costruita in 5 anni. Avresti visto un paese – il Sud Africa – passare dalla segregazione razziale ad ospitare i Mondiali.

Fai una cosa: vattene. Non ascoltare chi ti dice che solo chi resta resiste davvero. Lascia questo paese, meticciati. Scopri la bellezza di altri corpi e di altri odori. Di altri cibi. Fai politica. Sì, fai politica. Perché non è tutto una “merda”. Ma scegliti altri maestri. Un buon politico non è un imbonitore ma un uomo che si carica sulle spalle la visione di un paese, nonostante i voti.

Guarda Invictus. Dimentica Genova. Lì hanno ucciso una generazione, non farti fermare anche tu. Non ascoltare quella canzone “poteva come tanti scegliere e partire, invece lui decise di restare” è bellissima ma viene da un’altra epoca. Ho amato Peppino e la Sicilia ma ho anche imparato che le catene non coincidono con questo sentimento.

Eduardo avrebbe detto Fujetevenne. Io ti scrivo vattene. Vattene per imparare che non è vero che una laurea ti forma. Vattene perché la festa che i tuoi vogliono organizzare è una pagliacciata di cui non hai bisogno. Ciò che hai in mano è un pezzo di carta, non conta niente. Non c’è nulla da festeggiare. Si festeggia il futuro, non il passato.

Vattene via perché altrimenti anche a quarant’anni ti diranno che sei giovane. Non è vero. Vattene perché non devi leggere i giornali che aprono con le violenze per una partita di calcio. Non è giusto. Il calcio è solo uno sport.

Parti, lasciaci qui, come i dannati di un inferno da noi stessi generato. Va via! Prendi un volo per il nord e respira la bellezza del senso di comunità. Perché la vicina che ti dà lo zucchero non c’entra nulla con l’empatia. E’ un modo per sperare che un giorno anche tu farai lo stesso… Se così non fosse non ci sarebbe il vociare dei condomini al tuo passaggio. Perché essere più di sé stessi, essere una collettività è la condivisione costante e silenziosa delle regole che consentono a tutti di andare avanti. E questo noi non sappiamo neanche cosa sia. Collettività non è svegliarsi una mattina e ricostruire ciò che è andato in fumo ma lavorare ogni giorno nel silenzio.

Non ascoltare gli eroi. Questa nazione non ha bisogno di loro. E’ il contrario, sono loro a nutrirsi di questo paese perché senza i suoi mali non potrebbero vivere.

Parti e torna solo se sarai convinto che è giunto il tuo tempo. Torna solo se hai visto il cambiamento e pensi sia giusto riportarlo indietro. Torna con i sogni di un ventenne e le spalle di un adulto.

Per l’Italia tempo scaduto, arriverà una tempesta perfetta

3 marzo 2013 Lascia un commento

tempesta Viviamo in tempi rivoluzionari, ma non vogliamo prenderne atto. Usiamo questa espressione in senso “tecnico”, non politico-ideologico. Non ci sono masse intorno al Palazzo d’Inverno, ma la fine di un mondo. Il difficile è prenderne atto. Si sta rompendo tutto, intorno a noi e dentro di noi, ma quando ci dobbiamo chiedere – fatalmente – “che fare?” ci rifugiamo tutti nel principio-speranza, confidando che le cose, prime o poi, tornino a girare come prima. Per continuare a fare le cose che sappiamo fare, senza scossoni. Non possono tornare come prima. Inutile prendersela più di tanto con le singole persone o le strutture – leader, partiti, sindacati, media, Confindustria, ecc – che hanno responsabilità pazzesche, naturalmente, ma sono anche totalmente impotenti di fronte a un mondo che si spacca. «Le cose si dissociano, il centro non può reggere». Non saranno i Bersani, i Berlusconi o i Napolitano a tenere insieme le zolle tettoniche in movimento.

Come interpretare altrimenti il fatto che le “elezioni più inutili della storia” – definizione nostra – abbiano prodotto la più seria rottura di continuità nel panorama politico italiano? Era tutto fatto. Un programma di governo “responsabile” scritto in sede europea e noto come “agenda Monti”; una coalizione costruita per “coprirsi a sinistra” senza spaventare i moderati; un polo moderato-centrista in realtà “estremista europeo”; un governo “ineluttabile” Bersani-Monti (con Vendola addetto ai “diritti civili”, che in fondo non costano niente). Gli antagonisti? Impresentabili in Europa, come il jokerman di Arcore e il comico di Genova; oppure riedizione minore di un arcobaleno fallimentare, fisicamente rappresentato da magistrati progressisti. Ma magistrati.

Un paese diviso ha prodotto una rappresentanza divisa. E non è colpa della “gente”, dell’“individualismo”, del menefreghismo. Perché queste tare italiche sono il corrispettivo esatto di una struttura produttiva che magari presenta ancora isole di eccellenza, ma “non fa sistema”; di una società frammentata nel modo di produrre ricchezza, di estrarre reddito, di sopravvivere. Ma un paese dove la produzione di ricchezza “non fa sistema” è un paese senza spina dorsale, senza baricentro, senza disegno. E che ha aggravato queste sue caratteristiche negative – addirittura esaltate come “potenzialità” ai tempi in cui gli imbecilli dicevano che “piccolo è bello” – in seguito allo smantellamento delle poche colonne portanti della produzione nazionale, nonché dalla privatizzazione delle banche di “interesse nazionale”. Metafora precisa, quest’ultima, di un paese senza un “interesse nazionale” identificabile; e quindi frantumato in tanti e diversi interessi privati, corporativi, locali, di nessuno spessore progettuale. Di nessuna incidenza sulla scala dimensionale – almeno continentale – su cui si prendono le decisioni vere.

Un paese composto in buona parte di figure sociali con “redditi spurii”, che presentano perciò “identità multiple”. Parliamo di redditi spurii in senso marxiano, non legal-giudiziario. Un mafioso che si arricchisce con il traffico di droga ha un reddito illegale, ma non spurio; la sua identità sociale è chiara anche per lui, non presenta ambiguità e tantomeno tentennamenti. Un pensionato o un lavoratore dipendente (o un piccolo negoziante o una partita Iva) che ha un salario (una pensione o dei ricavi d’attività), e magari “integra” affittando la seconda casa a dei migranti, cui può aggiungere qualche cedola dai Bot o dai fondi comuni di investimento… questo insieme è un reddito spurio, che fa vivere un’identità sociale mutevole e mutante. Che vota in un modo se pensa più all’Imu e in un altro se gli pesano maggiormente addosso le “riforme” Fornero delle pensioni o del mercato del lavoro. Berlusconi o Bersani, dipende da cosa offrono… E il primo sa vendere meglio.

Lo spappolamento sociale – se è ancor vero che “l’essere sociale produce la coscienza” – si è rivelato appieno in questo voto. E non è ricomponibile per via “istituzionale”, mettendo assieme frammenti di rappresentanza politica. Ma è quello che faranno, che sono condannati a fare e che Napolitano cercherà di costringerli a fare. Un “governissimo” pro tempore, per “fare poche cose”, alcune “riforme strutturali che i mercati si attendevano”. E una legge elettorale meno idiota. Nemmeno il tempo di scriverlo, ed ecco che Berlusconi si mostra disponibile, Bersani zittisce chi pensa a nuove elezioni, Monti tace preparandosi a indicare un nome tra i suoi possibili sostituti. Insomma: una risposta “normale” a uno smottamento rivoluzionario. Un suicidio al ralentì.

La domanda centrale, decisiva, posta da queste elezioni è soltanto una. E viene posta indirettamente, in ogni talk show, da quanti ci tengono a rappresentare il “senso di responsabilità”: si resta in questa Unione Europea o ci si mette nella prospettiva di uscirne? Qualsiasi risposta comporterà disastri inenarrabili e un terremoto prolungato nel nostro sistema di vita. “Restare” significa infatti accettare i vincoli del Fiscal Compact (50 miliardi tagli annuali alla spesa pubblica per i prossimi 20 anni), il pareggio di bilancio (impossibilità di mettere in campo una qualunque politica economica nazionale), la distruzione del “modello sociale europeo”, le allenze militari e i conflitti conseguenti. “Uscirne” significa affrontare le tempeste e la speculazione di mercati finanziari vendicativi, squilibri di grandi dimensioni e senza soluzioni a breve termine, cercando alleati mediterranei e “latini” – al momento in tutt’altre faccende affaccendati – per una zona monetaria “non euro” e non stupidamente nazionalista. Chi si aspetta ricette facili per “rimettere le cose a posto” si rivolga a un predicatore o alla neuro.

Il corpo elettorale italiano ha detto al 60% che le “politiche europee”, i diktat della Troika (Ue, Bce, Fmi) non possono essere più accettate. Il problema – gravissimo – è che questo rifiuto è per metà composto di interessi e immaginario reazionari, localistici, “personali”. E per l’altra metà di risposte variamente e soggettivamente “democratiche e popolari”. Ma senza un progetto, un’idea fondante, una visione all’altezza della “tempesta perfetta” che il mondo – non solo l’Italia o l’Europa – sta vendendosi velocemente addensare. Tutto, in teoria, affidato a un’infinita discussione da fare tra soggetti singoli che solo alla fine troveranno il consenso su qualcosa. Ma quel qualcosa, oltre che distillato per via di partecipazione democratica, sarà anche “efficace”? Non ci scommetteremmo. La complessità del mondo reale eccede di gran lunga le competenze individuali non strutturate in “sistema”, sia conoscitivo che “operativo”.

Sul rifiuto di rispondere chiaramente a questa domanda, infine, si è infranto in modo definitivo il “far politica” – proprio della “sinistra radicale” bertinottiana e post-bertinottiana – che avanzava molte e giuste critiche alle politiche europee e/o governative per poi acconciarsi a un’alleanza elettorale con chi rappresenta con assoluta nettezza queste politiche: il Pd. Sappiamo bene che in questo frangente non c’è stato un accordo elettorale in tal senso; ma per gran parte delle piccole forze racchiuse nella “lista Ingroia” (capitanate da Di Pietro, Diliberto, lo stesso Ingroia) ciò è avvenuto solo per il netto rifiuto da parte del Pd, non per una scelta “indipendente”. Una sindrome da “amici traditi” che si è avvertita per tutta la campagna elettorale ed è esplosa nei primi giudizi dopo i risultati.

È finita “la sinistra” discendente dalla cultura del Pci, indecisa via di mezzo tra accettazione dell’ordine capitalistico e tenue aspirazione a smussarne le asperità eccessive. Può non essere un male, se si parte dal rispondere in modo chiaro alla domanda principale. Perché ora questo paese ha davvero preso il “sentiero greco”, e non ci si deve più fidare di nessun “candidato nocchiero” che parte dal desiderio di “normalità”, invece di prendere atto della tempesta in atto. Ci sarà da tremare e lottare, da pensare correndo. In tempi rivoluzionari, occorre capire dove si va rompendo la faglia e avanzare proposte altrettanto di rottura. Non abbiamo bisogno di mezze pensate, di vecchi poltronisti, di dottor tentenna. Quel tempo è scaduto.

(Dante Barontini, “Tempesta perfetta”, da “Contropiano” del 26 febbraio 2013).

Il pescatore messicano

17 febbraio 2013 Lascia un commento

messicoUn turista americano in vacanza in un piccolo villaggio messicano nota un pescatore locale sulla spiaggia intento a sistemare il pesce appena pescato. Si complimenta con lui per la qualità del pesce e gli chiede quanto tempo ci ha messo per pescarlo.
“Non molto tempo” risponde il messicano.
“Perché non resta in mare più a lungo ? Potrebbe catturare più pesce !” osserva l’americano.
“Questo pesce è sufficiente per la mia famiglia”, risponde il messicano.
“Ma cosa fa nel resto del tempo?”
“Mangio il mio pesce, gioco con i miei bambini, faccio una siesta con mia moglie, poi la sera vado al villaggio con i miei amici, suoniamo la chitarra, cantiamo … si, insomma … abbiamo una vita piena.
L’americano lo interrompe, “Senta, io ho una laurea in economia ad Harvard. Lei mi è simpatico e credo di poterla aiutare. Mi ascolti: Lei dovrebbe iniziare a pescare di più ogni giorno. Potrebbe vendere il pesce extra e con le entrate comprarsi una barca più grande !”
“E dopo ?”
“Con la barca più grande potrà pescare ancora di più, potrà prendersi dei collaboratori ed acquistare altre barche con le quali incrementare ancora di più la sua pesca.”
“e quindi ?” chiede il messicano incuriosito.
“Bè, a quel punto potrà negoziare direttamente con gli impianti di trasformazione del pesce invece di vendere al pubblico. In seguito potrà aprire il suo proprio impianto, capisce ? Potrà lasciare questo piccolo villaggio ed installarsi a Città del Messico. Poi quando gli affari cresceranno potrà trasferirsi a Los Angeles o a New York e dai suoi uffici gestire tutta la sua attività !”
“Quanto tempo ci vorrebbe ? ” chiede il messicano.
“Bèh … direi … Venti, venticinque anni.” risponde l’americano.
“E dopo ?”
“Dopo la cosa diventa davvero interessante”, risponde l’americano.”Quando il business è davvero grande, potrà quotare la società in borsa e fare milioni di dollari, mi-lio-ni ! capisce !?”
“Davvero? E dopo ?” Chiede il messicano.
“Eh bè … a quel punto, con tutto quel denaro potrà ritirarsi in un piccolo villaggio sulla costa, andare a pescare quando vuole, giocare con i suoi figli, prendersi una siesta al pomeriggio, cantare con i suoi amici …”
“Con tutto il rispetto Señor…” Lo interrompe il messicano, “… questo è esattamente quello che sto già facendo ora. Perché dovrei sprecare 25 anni ?”

Come un cane in chiesa

3 gennaio 2013 1 commento

don-galloQuelli che si credono “a posto” hanno un gran brutto vizio: quello di guardare sempre in casa degli altri. Dicono: «I peccatori sono gli altri», e non si sentono mai toccati dal discorso di Gesù. Che ipocrisia!
Io mi sento, ancora oggi a 84 anni, un peccatore. Mi sento sempre inadeguato, perché sono un garantito. È vero: lavoro per i poveri, i precari, i senza-casa, i rom, gli emarginati, i migranti, però sono un garantito rispetto all’umanità dolente che bussa ogni giorno alla mia porta e cerca aiuto. Sono un garantito rispetto a loro. Sono un peccatore-garantito, perché, se esco di casa e incontro un povero, allora gli do l’elemosina e con ciò, forse, credo di salvare la mia anima, di mettere a tacere la mia coscienza.

Vorrei che ogni mia azione caritatevole, tradotta in solidarietà, potesse produrre dei diritti, ma non a lunghissimo termine! Riconosco gli aspetti positivi della solidarietà assistenziale, ma mi sento peccatore per non essere riuscito, in tanti anni, a cambiare davvero le cose.
Ho visto che tante persone negli anni passati hanno lottato per i diritti – per ottenere lo Statuto dei lavoratori, per la parità uomo-donna –, ma ho notato che in questi ultimi tempi la nostra democrazia è entrata in una sorta di eutanasia. Che fine ha fatto l’articolo 3 della Costituzione, che sostiene che la Repubblica deve rimuovere qualunque ostacolo per favorire l’uguaglianza di tutti i cittadini? Lo voglio riportare per intero: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».

In questo senso mi sento inadeguato e iper-garantito. Svolgo il mio servizio con i miei ragazzi della Comunità San Benedetto e da anni lavoriamo notte e giorno per la mia città, Genova, e credo che la generosità e l’onestà del nostro agire si vedano, e abbia anche la comprensione e l’apprezzamento di gran parte della popolazione.
Se scorressi l’elenco telefonico, non solo a Genova, ma in qualunque parte d’Italia ormai, e dicessi: «Pronto, sono don Gallo, mi invitate a cena stasera?», avrei una marea di inviti. Ecco perché, nonostante tutto, provo un senso di vergogna quando incontro i poveri e i peccatori. Recentemente ho rifiutato una sera di andare in un ristorante, un grande ristorante, perché già si sapeva in giro che arrivava don Gallo. E io, in quel momento, mi sono sentito un peccatore. Uno che va a cena dai garantiti per vanità. Mi sono sentito un peccatore addirittura duplice: infatti, pur non avendo nessun merito e nessuna carica, mi ritrovo sia iper-garantito sia un po’ famoso per effetto dei mass media e dell’opinione pubblica. E come faccio a non vergognarmi di fronte a questi miei fratelli che, a fatica, la sera riescono a rimediare una tazza di brodo caldo? Cosa dico a un ragazzo precario, a un disoccupato?

Sì, in molte situazioni siamo riusciti a evitare lo sfratto e la perdita di un appartamento pagato con il mutuo a chi aveva perso il lavoro, ma posso essere felice per così poco? Vivo queste situazioni come un peso enorme, ecco perché vado volentieri a cena con i peccatori, perché sono loro che mi fanno capire dove sta l’altra faccia della verità.
Don Lorenzo Milani ricordava spesso che lui aveva sì insegnato a leggere e a scrivere ai suoi alunni di Barbiana, ma loro, figli di contadini, gli avevano insegnato a vivere. Al giovedì sera abbiamo la cena con tutti i poveri che vogliono venire in comunità. Apriamo la porta a tutti, senza distinzioni. Lì, mi sento finalmente a mio agio, nel senso che condividiamo “qualcosa” con loro, ecco perché mi chiamano spesso “compagno”. So che alcuni, specialmente in ambito ecclesiale, non sopportano che mi faccia chiamare “compagno”. Io sono da sempre contro ogni dittatura, ogni dispotismo rosso, verde o bianco. Eppure lì, a tavola con i peccatori, finalmente mi sento un povero prete che spezza il pane.

So di essere un personaggio conosciuto, e qualche volta le lusinghe del successo e del potere arrivano anche nei meandri più sconosciuti e lontani della mia coscienza. Arrivano anche a me: «Guarda questo,» potrebbe giustamente dire qualcuno «sta con i poveri e, a causa loro, va in tv, scrive libri e lo intervistano in continuazione». So che è un rischio. Ne ho anche il terrore, e mi sento male al pensiero che la mia notorietà potrebbe ferire la sensibilità anche di un solo povero. Tuttavia corro il rischio, perché non posso tacere. Anche e soprattutto nella mia chiesa. Io non taccio, parlo per i miei poveri, per l’umanità sofferente dimenticata dall’indifferenza.

Approfitto di alcuni strumenti per dire apertamente ai potenti di turno che dobbiamo reagire a questa “delinquenza legale” che sta ammorbando la nostra Europa. Tra l’altro, i contratti di tutti i libri che firmo sono intestati alla Comunità San Benedetto e tutti i diritti d’autore sono a favore della comunità, che ovviamente ha molte spese, perché le iniziative contro la povertà e l’emarginazione necessitano di risorse.
Le conferenze, i libri e le trasmissioni televisive mi danno la possibilità di parlare, di far capire alcune cose e, a volte, è più importante far passare alcuni concetti di legalità e giustizia che non dare l’elemosina al primo mendicante che si incontra per strada. Mi trovo a casa nella mia chiesa, e quindi brontolo quando c’è da brontolare. E provoco, se c’è da provocare. Poi arriva il momento in cui spezzo il pane con i miei “randagi” di strada. È il momento più bello, che mi fa capire quanto la Chiesa sia davvero santa nei suoi testimoni sconosciuti e nascosti agli occhi del mondo

Tratto dal libro “Come un cane in chiesa”. Don Gallo

Omaggio a Rita Levi Montalcini

30 dicembre 2012 Lascia un commento

Buon Natale e Felice Anno Nuovo

24 dicembre 2012 1 commento

Io sottoscritto (d’ora in avanti “l’Augurante”) chiedo al mio interlocutore (d’ora in avanti “l’Augurato”) di accettare senz’alcun obbligo, implicito o esplicito, i voti più sinceri dell’Augurante (d’ora in avanti “gli Auguri”) affinché l’Augurato possa trascorrere nel migliore dei modi (ove nella frase “migliore dei modi” si sottintende da parte dell’Augurante e si presuppone da parte dell’Augurato un atteggiamento che tenga conto delle problematiche di carattere sociale, ecologico e psicologico, che non sia causa di tensione e/o competizione, né comporti o favorisca alcun tipo di assuefazione o di discriminazione, sia sessista, sia di diverso carattere) per la festività coincidente al Solstizio d’Inverno convenzionalmente nota come “Natale”, ma che può essere chiamata e celebrata dall’Augurato secondo le sue tradizioni religiose e/o laiche, premesso il debito rispetto nei confronti delle tradizioni religiose e/o laiche di persone di qualunque razza, credo o sesso diverse dall’Augurato, ivi comprese coloro che non praticano alcuna tradizione religiosa e/o laica. Qualsiasi riferimento a qualunque divinità, figura mitologica, personaggio tradizionale, reale o leggendario, vivo o morto che sia; a simboli (ove sono compresi tra l’altro – ma non limitativamente – canti e rappresentazioni artistiche, letterarie e sceniche) religiosi, mitologici o della tradizione che possa essere ravvisato direttamente o indirettamente nei presenti Auguri non implica da parte dell’Augurante alcun sostegno nei confronti della figura o del simbolo in questione.
L’Augurante chiede inoltre all’Augurato di accettare gli auguri per un felice (ove l’aggettivo “felice” viene definito tra l’altro – ma non limitatamente – come “gratificante dal punto di vista personale, sentimentale e finanziario e privo di complicazioni di carattere medico, dirette o indirette”) anno 2013. L’Augurante sottolinea che la datazione “2013” è qui considerata come convenzionale, così com’è considerata convenzionale la data del 1° Gennaio come inizio dell’anno, e dichiara il suo assoluto rispetto per altri tipi di datazione legati alle differenti culture religiose e/o laiche di cui l’Augurante riconosce il prezioso contributo allo sviluppo dell’attuale società multietnica.
Augurante e Augurato convengono inoltre su quanto segue:
– Gli Auguri valgono a decorrere dalla data del presente accordo al 31 Dicembre 2012, dopodiché dovranno essere esplicitamente rinnovati da parte dell’Augurante.
– Gli Auguri non implicano alcuna garanzia che i voti di “felicità” espressi dall’Augurante trovino un effettivo riscontro nella realtà dell’Augurato, il quale non potrà attribuire all’Augurante alcuna responsabilità civile e/o penale e/o morale per la loro mancata attuazione.
– Gli Auguri sono trasferibili a terzi purché il testo originale non subisca modifiche o alterazioni. La libera diffusione del testo non implica tuttavia il pubblico dominio del testo stesso, i cui diritti appartengono in ogni caso al detentore del copyright.
– L’Augurante declina ogni responsabilità derivata dall’utilizzo degli Auguri al di fuori dai limiti prescritti; in particolare, l’Augurante declina ogni responsabilità per eventuali danni fisici o morali all’Augurato e/o a persone e/o sistemi informatici a lui collegati derivati dall’invio degli Auguri mediante E-Mail o qualunque altro metodo di trasmissione, elettronico o di diverso genere, attualmente in uso, in fase di sperimentazione o non ancora inventato.
Ciò stabilito
Buon Natale e Buon 2013

Il grande vecchio e il Cavalier Burlesquetti

12 dicembre 2012 Lascia un commento

NWOE’ tutto sotto controllo per l’Azienda Madre.
Il vecchio inclinò la levetta verso destra e la poltrona a rotelle, con un ronzìo quasi impercettibile, girò su se stessa di 180 gradi. Rivolto verso la vetrata, osservò distrattamente il paesaggio grigiastro, fumoso, del Tamigi, con le sue sponde frastagliate di pali, banchine e skyline di edifici restaurati, antichi come lui.
Non gli interessava più il paesaggio in realtà, ne conosceva ogni dettaglio, ogni cespuglio, ogni ombra. Era solo la forza dell’abitudine. Ogni gesto si era ormai cementificato nel corso del tempo. I suoi 89 anni erano uno smalto indistruttibile, immutabile, che ricopriva la sua personalità fissata su una lastra di ghiaccio.
Ruotò la poltrona di altri novanta gradi, fece scorrere lo sguardo, che era una successione di immagini fisse, come se avesse una macchina fotografica innestata nel cervello, sulla forma ovale del tavolo a 16 posti di quercia levigata, col ripiano di vetro.
Alle 18 era convocata la riunione mensile del Consiglio dell’Azienda Madre, allargato ai finanzieri, che da una decina d’anni era diventato definitivo.

Ricordava ancora nitidamente, come una foto ad alta definizione, quando L’Azienda Madre era un coordinamento di compagnie petrolifere che si occupavano della raffinazione, della distribuzione e commercializzazione della materia prima, in sinergia totale coi paesi dell’OPEC. Gli uni avevano bisogno degli altri, il legame era indissolubile. Capitalisti e fondamentalisti islamici insieme controllavano i governi, le guerre in Medio oriente, le destabilizzazioni di regimi o il loro rafforzamento, avevano in pugno i servizi segreti di mezzo mondo. Poi tutto era cambiato, le fonti di energia si erano diversificate, l’irruzione della finanza globalizzata era stata travolgente, tanto da costringere l’intero Consiglio a una rifondazione radicale. Così la realtà mutava, e lui, il Presidente, aveva il dovere di adeguarsi e di guidare il cambiamento.

La lampadina sul tavolo lampeggiò. Avvertì il bagliore nel suo campo visivo destro. Bridge, il suo primo assistente, chiedeva udienza. Puntuale, come sempre. Erano le 12, l’ora del secondo briefing della giornata. Gli avrebbe fornito gli ultimi aggiornamenti, per i ritocchi alla relazione delle 18. Fece scattare la serratura sfiorando il display luminoso sul tavolo. Bridge si affacciò sulla porta, entrò.
Era come se il tempo, per il primo assistente, fosse fermo. Dopo 38 anni di servizio camminava ancora sulle uova, felpato, leggermente piegato in avanti. Arrivò di fronte al tavolo, accennò al solito inchino, disse: “Il rapporto, eccellenza.”
Eccellenza. Il vecchio non era mai riuscito a decidere se l’atteggiamento deferente del primo assistente gli causava fastidio o piacere. Detestava i modi servili, untuosi, degli yes men opportunisti pronti a cambiare bandiera alle prime difficoltà. Ma Bridge era diverso, era solo fedele. Aveva la sensibilità di un bambino dipendente dal padre, a 64 anni suonati. Talvolta lo maltrattava, perché gli saliva alla gola come un ringhio, quando vedeva quell’uomo pingue, pallido, modesto, genuflesso, che lo chiamava eccellenza con la voce sempre moderata, talvolta tremante. Ma era efficiente, ordinato, veloce, e se godeva nel farsi trattare male, erano affari suoi.
Lo lasciò lì impalato, come un androide disattivo, senza parlare. I suoi pensieri gli erano per un attimo sfuggiti, si era concentrato sulla sua stilografica nera posata sull’agenda, mentre i dati delle ultimi analisi del sangue lo avevano come accecato. La creatinina a 4,8, altri due punti di peggioramento. Dopo cinque anni dal trapianto il rene aveva iniziato a deteriorarsi. Era per il suo deficit immunitario, aveva detto quel professore svizzero. Avevano impiantato ugualmente un rene nuovo, nonostante i protocolli internazionali escludessero l’intervento per quel tipo di patologia degenerativa. Ma in Bielorussia, nelle cliniche giuste, i protocolli valevano quanto le liste della spesa.

Si riprese, guardò l’androide immobile e disse: “Be’, cosa fa lì come un salame?”
Era solo per strapazzarlo un po’
Ma Bridge non faceva una piega. Stava solo aspettando il permesso di parlare.
“Ci sono gli aggiornamenti politici, eccellenza”.
Il vecchio fece un gesto stanco verso la poltrona. Bridge si sedette lentamente, aprì una cartellina di pelle, si schiarì la gola e iniziò l’esposizione. Sintetica, essenziale, come doveva essere. Come le sue relazioni al Consiglio, senza alcuna smanceria, senza retorica, senza doppi sensi. L’Azienda Madre doveva valutare i governi amici e nemici, decidere gli interventi per migliorare il controllo sui media mondiali, mettere a punto le strategie della sua immensa rete finanziaria. Era molto apprezzata la sintesi, per evitare inutili perdite di tempo..
Ora il problema era la Francia. Il nuovo presidente era ambiguo, sfuggiva alle definizioni, passava da atteggiamenti di rispetto verso il nuovo ordine a fastidiose allusioni destabilizzanti, come più tasse ai ricchi e così via. Bisognava lavorare sulla Francia. Il potere di orientamento del voto popolare da parte dell’Azienda Madre era enorme, ma non assoluto. Si trattava di un dualismo reciproco: i popoli, influenzati dai principali media, che il Consiglio controllava con massicce partecipazioni azionarie, si adeguavano ai trend dominanti; i quali dovevano a loro volta assestarsi alle novità se i voti sfuggivano alle pianificazioni. Ma tutto, alla fine, veniva ricondotto all’armonia naturale delle cose e al giusto equilibrio. E il giusto equilibrio era uno solo: l’economia occidentale non era più disposta a tollerare i costi dello Stato Sociale, dei servizi pubblici, del cosiddetto Welfare; si trattava di una fetta enorme di business che doveva entrare in gioco. Il vecchio aveva smesso da tempo di avere un’opinione in merito all’etica della questione. Non gioiva di fronte alla riduzione in povertà di grandi masse umane, ma neanche soffriva. Sapeva che il nuovo ordine richiedeva un prezzo. E questo andava pagato. Perché al di là del nuovo ordine non c’era che la barbarie.

“Poi, eccellenza, ci sarebbe una turbolenza in Italia.”
Il vecchio sussultò. Gli venne una tosse violenta, tanto che il primo assistente accennò ad alzarsi per soccorrerlo. Ma non osava, un intervento non richiesto poteva causare una reazione stizzita nel vecchio. E quando si irritava non ci andava leggero con gli insulti.
“Ancora?” disse, mentre iniziava a riprendere fiato.
Anche Bridge si rilassò. Attese che il vecchio tornasse completamente in sé, poi iniziò a spiegare, con poche parole. I concetti sembravano superflui, perché era come immettere dei dati in un software che li completava immediatamente, usando insiemi già memorizzati.
“Il Cavalier Burlesquetti…”
Il vecchio spalancò gli occhi azzurri, resi quasi bianchi, piccoli e spettrali dall’età. Nel volto dalle guance pallide e cascanti di Bridge vedeva quello altrettanto inquietante di Burlesquetti, un altro androide di materiale organico che sembrava di plastica. Lo ricordava, vent’anni prima, quando era entrato nel suo ufficio con aria trionfale, sprizzando allegria fasulla da tutti i pori. Faceva battute, cercava compiacimento, approvazione, da lui! Era un parvenu, un avventuriero, circondato da altri avventurieri, la specie che più al mondo il vecchio disprezzava, sempre pronti a tradire, a passare al miglior offerente. Il suo governo nel complesso si era dimostrato un fallimento. Si trattava di una cricca impegnata soprattutto a coltivare affari privati, a incamerare risorse, a risolvere le mille beghe legali del suo capo. E intanto gli interessi dell’Azienda Madre non erano abbastanza tutelati.
“Di nuovo quel saltimbanco?” esclamò il vecchio.
Quel proverbio sulle sette vite dei gatti sembrava conforme al personaggio. Quando all’unanimità il Consiglio aveva deciso per la caduta del suo grottesco governo e la sua definitiva uscita di scena, Burlesquetti si era opposto. Ridicolo! Si era presentato in televisione affermando che non intendeva dimettersi. Era bastata una telefonata di uno dei secondi assistenti per far cadere a picco le azioni delle sue aziende e riportarlo al buon senso. Doveva farsi da parte immediatamente, dare spazio a quel professore universitario, affidabile, zelante, solido, efficiente. Il loro uomo.
“Che diavolo ha combinato questa volta?”
Bridge si schiarì la gola. L’interesse del vecchio lo rinfrancava. “Stanno facendo cadere il governo e…”
“Beh, questo era previsto, no?” lo interruppe il vecchio. “Lo sappiamo da mesi che gli italiani andranno a votare in anticipo, e al momento il favorito è quel… come si chiama?”
“Fessani” disse il primo assistente.
“Appunto” disse il vecchio. Fessani guidava una forza politica che era una imitazione del Partito Democratico americano. Le opzioni prese in esame erano due: un nuovo governo del professore, oppure del vincitore delle elezioni. La prima era preferibile, il professore era l’uomo ideale. Ma anche la seconda era accettabile. Fessani sembrava deciso ad allinearsi. E il consenso popolare non rappresentava un grosso problema. I media principali italiani, i più affidabili dell’intero continente europeo, erano totalmente sotto controllo. Per cui anche le incognite rappresentate dalla piccola forza politica che aveva sostenuto Fessani, che si sperticava in affermazioni populiste tipo la patrimoniale e le nazionalizzazioni, sarebbero state superabili. Bastava spingere sul terrore del default, sullo spread, sulle borse in caduta, poi proporre i rimedi per scongiurare il disastro, sia che si trovasse in campo il professore oppure Fessani, magari con alleanze diverse da quelle iniziali.
“Quindi dove sta il problema?” chiese il vecchio, fissando Bridge con acredine. Odiava quella forma di suspence che gli assistenti cercavano di provocare nei superiori.
“Non so se sia un problema, eccellenza, ma il Cavalier Burlesquetti intende presentarsi alle elezioni, cercando di capitalizzare il malcontento popolare, e ha bloccato la riforma elettorale.”
Il vecchio sospirò. Ecco spiegato il colpo di mano. Scioglimento del Parlamento, caduta delle leggi in discussione ed elezioni con le liste blindate, compresi gli “amici” condannati. Questo per l’Azienda Madre era un problema inesistente. Che si eleggessero i cosiddetti delinquenti non interessava il Consiglio. L’importante era che svolgessero il loro compito con serietà e affidabilità.
“E il suo schieramento?” chiese il vecchio.
“Appare diviso” rispose Bridge, “il segretario del suo partito, che prima sembrava…”
Il vecchio lo fece tacere con un gesto brusco della mano. Il suo software interno aveva già completato il ragionamento. L’uomo di paglia che rivestiva il ruolo di segretario era ininfluente. Alla fine la lista di Burlesquetti sarebbe stata una lobby pronta a schierarsi col più forte, per avere in cambio favori. Forse il suo consenso sarebbe lievitato, ma in nessun caso quell’avventuriero poteva sperare di tornare al potere. Oppure, se la situazione l’avesse richiesto, con le giuste pressioni sarebbe stato scacciato dalla scena politica come un moscerino.
Il suo tempo era finito, e probabilmente lo sapeva.
“Va bene Brigde. Ho capito. Lasci pure qui la sua relazione.”
Il primo assistente mimò un nuovo inchino e si sporse in avanti per appoggiare la cartellina sul tavolo. C’era una linea invisibile, disegnata sul pavimento. Un servo come Bridge non poteva oltrepassarla, senza il permesso del padrone.
Bridge aspettò un congedo, che non arrivava, poi salutò, senza essere ricambiato, si girò e camminò con passi regolari verso la porta, con la schiena dritta, la pancia che ballonzolava sotto al vestito di cachemire da tremila sterline.

Il vecchio tamburellò sulla cartellina. I pensieri gli erano di nuovo sfuggiti in un vuoto pneumatico, ma era durato solo pochi secondi. Aveva la percezione di Bridge che aspettava, immobile, ma non se ne era occupato. Il primo assistente sapeva cosa fare. Non c’era più bisogno di lui, poteva togliersi dai piedi.
Tornò l’immagine di Burlesquetti, quella faccia di plastica, coi capelli finti. La maschera del suo viso, che il vecchio ostinatamente rifiutava di restaurare con uno di quegli interventi di chirurgia estetica così diffusi tra i suoi pari, forse si modificò in un sorriso.
No, nessun problema con Burlesquetti. Tutte le incognite erano sotto controllo. Tutte le forze rinchiuse nelle gabbie delle regole.
Le loro regole.
Il nuovo ordine non si toccava.
Il nuovo ordine era l’unico possibile, in quella parte di mondo.
Perché di qua c’era la civiltà, di là la barbarie.
di Mauro Baldrati
http://www.carmillaonline.com/archives/2012/12/004557.html

Salvataggio

12 dicembre 2012 Lascia un commento

OLYMPUS DIGITAL CAMERAE’ una giornata uggiosa in una piccola cittadina, piove e le strade sono deserte.
I tempi sono grami, tutti hanno debiti e vivono spartanamente.
Un giorno arriva un turista tedesco e si ferma in un piccolo alberghetto.
Dice al proprietario che vorrebbe vedere le camere e che forse si ferma per il pernottamento e mette sul bancone della ricezione una banconota da 100 euro come cauzione.
Il proprietario gli consegna alcune chiavi per la visione delle camere.

1. Quando il turista sale le scale, l’albergatore prende la banconota, corre dal suo vicino, il macellaio, e salda i suoi debiti.
2. Il macellaio prende i 100 euro e corre dal contadino per pagare il suo debito.
3. Il contadino prende i 100 euro e corre a pagare la fattura presso la Cooperativa agricola.
4. Qui il responsabile prende i 100 euro e corre alla bettola e paga la fattura delle sue consumazioni.
5. L’oste consegna la banconota ad una prostituta seduta al bancone del bar e salda così il suo debito per le prestazioni ricevute a credito.
6. La prostituta corre con i 100 euro all’albergo e salda il conto per l’affitto della camera per lavorare.
7. L’albergatore rimette i 100 euro sul bancone della ricezione.

In quel momento il turista scende le scale, riprende i suoi soldi e se ne va dicendo che non gli piacciono le camere e lascia la città.

– Nessuno ha prodotto qualcosa
– Nessuno ha guadagnato qualcosa
– Tutti hanno liquidato i propri debiti e guardano al futuro con maggiore ottimismo

Ecco, ora sapete con chiarezza come funziona il pacchetto di salvataggio UE!

Luce

7 dicembre 2012 Lascia un commento

crisidinataleBologna è una città del centro-nord ed considerata una città benestante. A Bologna la Caritas dà da mangiare a 5.400 persone e tra di loro il numero degli Italiani cresce di giorno in giorno. A Bologna 1.500 persone non sanno dove andare a dormire.
Anche mia figlia è andata a lavorare alla mensa della Caritas. Si dichiara atea, ma la compassione non è chiesastica, è umana.
La Caritas è un’opera benedetta in un Paese che è stato avviato al Terzo Mondo con ferma premeditazione, un Paese dove si governa contro i poveri e dove non esiste reddito minimo di cittadinanza. Dove un ministro dichiara che dovremo fare a meno dello stato sociale perché è un lusso che non ci possiamo più permettere, mentre continueremo a permettersi evasori e corrotti. E dove la televisione è piena del parolaio Renzi che intende privatizzare ogni servizio ma gli Italiani sono avvinti dal suo scilinguagnolo e non lo capiscono.
Penso a questo Paese che si dichiara ancora cristiano. Penso al Vaticano che ha sostenuto per 18 anni Berlusconi solo per preservare i suoi interessi materiali e che ora è pronto a sostenere Monti purché di nuovo faccia solo i suoi interessi materiali.
Penso al lestofante Berlusconi che si caccia in bocca l’ostia come fosse un salatino.
Penso a Monti e alla sua cricca di bocconiani e professori della Cattolica e al loro stranissimo senso di cristianità. Anche i nazisti si denominavano cristiani. E persino Stormfront ha la faccia di dichiararsi difensore della fede. Cristiani erano i nazisti dei lager, e portavano la scritta “Gott mit uns” sulla cinta, mentre macellavano i loro fratelli.
Essere cristiani oggi è una strana nomea, pretesa da strani personaggi.
Ammiro la Caritas e quelli che ci lavorano. Spero che i suoi locali siano bene illuminati, perché al momento è l’unica luce che si vede in fondo al tunnel di Monti.
Viviana Vivarelli
http://masadaweb.org/

Nuovo Ebook

3 dicembre 2012 2 commenti

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Una speculazione ampia e priva di buone maniere. Concetti a volte densi e a volte secchi che non lasciano adito a qualsivoglia opportunismo. Gianni Tirelli affonda il suo bisturi tagliente dentro la sicumera della modernità, e ce ne mostra il corpo malato e in putrefazione.

https://itunes.apple.com/it/book/scritti-alla-fine-del-mondo/id579660548?mt=11

Il caso www.coolstreaming.it e www.calciolibero.com: tutto frutto di un equivoco?

1 dicembre 2012 Lascia un commento

Il presente commento, prende le mosse dal procedimento penale avviato dalla Procura di Milano nel corso del 2005, a carico degli amministratori dei siti http://www.coolstreaming.it e http://www.calciolibero.com.
In particolare, la Procura di Milano aveva disposto il sequestro preventivo dei suindicati portali con annessi indirizzi IP dei dati di trasmissione dalla Cina aventi specifiche numerazioni, per aver trasmesso partite di calcio delle quali la querelante aveva i diritti di trasmissione in esclusiva per il territorio italiano. La Procura ne aveva successivamente richiesto la convalida al GIP del Tribunale di Milano che, con provvedimento dell’8 febbraio 2006 aveva rigettato la richiesta.

Occorre effettuare, in via preliminare, una panoramica generale sul sistema di trasmissione telematica usato dai siti oggetto di sequestro. Si tratta della Peer –to –Peer Tv, ossia del live streaming P2P.
Il primo esempio di trasmissione via streaming, risale al 18 novembre 1994, quando la rockband statunitense “The Rolling Stones” si esibì in un concerto al Cotton Bowl di Dallas davanti a 50.000 fans. La Band decise di rendere disponibile a scopo promozionale i primi 20 minuti dello spettacolo che diventò così il primo concerto in multicast della rete internet.

Il precursore delle trasmissioni P2pTv fu senza dubbio coolstreaming, un aggregatore di televisioni online provenienti da vari broadcaster poi tramutato in un portale IpTv/Net-Tv.
La particolarità della rete peer to peer è che non consiste in una rete di client e server in senso tradizionale, ma si struttura in una serie di nodi equivalenti (peer) che funzionano al contempo da client e server verso altri nodi della rete aventi gli stessi requisiti.
Caratteristica dello streaming live è che ogni soggetto comunica con gli altri per riuscire ad ottenere il file che ricerca. A differenza dello streaming on demand, il file non può essere salvato su hard disk poiché il suo contenuto è disponibile una sola volta, ossia nel momento in cui il flusso di dati audio-video viene trasmesso. La comunicazione tra peer prevede inoltre la condivisione di parti del file in maniera da aumentare la capacità di trasmissione dell’applicazione.

Poste le doverose premesse tecniche in forma necessariamente sintetica, passiamo alle norme che vengono in considerazione e che si assumevano violate dall’Ufficio di Procura di Milano: l’art. 2 del Decreto Legge 15/99, convertito con modifiche dalla Legge 78/99 che attribuisce la titolarità dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata alla singole società di calcio di serie A e di serie B; l’art. 171, comma 1, lett. a-bis), della Legge 633/41, così come inserito dall’art. 3 del Decreto Legge 7/05 convertito con modifiche dalla Legge 43/05 che testualmente recita: “salvo quanto previsto dall’art. 171-bis e dall’art. 171-ter, è punito con la multa da lire 100.000 a lire 4.000.000 chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa”.

Orbene, la semplice violazione dei diritti di trasmissione in esclusiva delle partite di calcio, non ha tutela penale. A questa corretta conclusione perviene il GIP di Milano, sancendo l’applicabilità all’eventuale condotta illecita dell’emittente cinese che forniva il servizio di trasmissione delle partite, poi diffuse dai siti sequestrati attraverso la pubblicazione dei cd. “link” (anche) sul territorio italiano, delle norme che sanzionano l’illecito civile, in particolare l’art. 2043 e l’art. 2598 del codice civile, quest’ultimo riguardante fatti integranti concorrenza sleale.

Tuttavia, c’è ancora da chiedersi quale sia il bene oggetto di tutela della norma di cui all’art. 171, comma 1, lett. a-bis), della Legge cit.
L’oggetto della ripresa televisiva, ossia la partita di calcio, o la trasmissione televisiva in sé? Secondo la Legge sul diritto d’autore cit., le opere dell’ingegno sono espressioni di carattere creativo del lavoro intellettuale appartenenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Occorre, in particolare, che essa sia nuova e diversa rispetto alla realtà preesistente.
Ed allora, già questo riferimento alla realtà preesistente, nonché ai caratteri specifici perché si possa parlare di opera dell’ingegno, ma anche la stessa locuzione “opera dell’ingegno”, dovrebbero portare l’interprete ad escludere dalla tutela apprestata dalla legge, semplici manifestazioni della realtà (che è preesistente) all’opera, opera intesa come un lavoro personale, il frutto di un elaborazione, materiale o intellettuale che deve presentare l’apporto ulteriore della novità e dell’originalità.

Con ciò, pare evidente doversi escludere la mera partita di calcio quale manifestazione sportiva, dal novero dei beni tutelati dalla Legge cit., espressione di quella realtà preesistente all’opera. Quest’ultima, al contrario, dev’essere intesa quale elaborazione personale della realtà da parte dell’autore, materiale o intellettuale che sia.
In verità, il problema non è di così scontata soluzione, se il Tribunale di Milano con ordinanza del 3 settembre 2003, ha avuto modo di affermare che “ l’attività scolta dalla Società Parma A.C. manca di qualsiasi elemento di creatività, talché non può considerarsi opera dell’ingegno. Lo spettacolo della società organizzato, costituito dalla partita casalinga disputata, non è affidato ad altri elementi precostituiti se non le regole tecniche che sovrintendono allo svolgimento delle partite calcistiche , mentre lo spettacolo-partita è privo di qualsiasi connotazione ideativa ma è frutto di casualità e improvvisazione, conseguenza di impegno atletico e di applicazione di regole, senza spazio inventivo ovvero predeterminazione spettacolare”.

Tuttavia, e nonostante i giustificati dubbi insorti nella giurisprudenza di merito, è la trasmissione televisiva (ossia l’opera, in senso etimologico quale lavoro materiale) effettuata con mezzi tecnici ad avere (eventualmente) i requisiti dell’opera dell’ingegno. E alla stessa corretta conclusione addiviene il GIP, anzi va oltre, e considerando anche la cd. “telecronaca”, nega alle semplici riprese televisive, anche se effettuate con l’ausilio di imponenti mezzi tecnici e comprensive della telecronaca, i caratteri che delineano l’opera dell’ingegno.
Ma c’è di più. Il problema che sta alla base è che, l’emittente cinese non aveva sottratto illecitamente, eludendo le predisposte misure di sicurezza, e così trasmettendo, il flusso audio-video di proprietà dell’emittente italiana. Quelle riprese audio-video, successivamente diffuse in Italia attraverso i link dai portali sequestrati dalla Procura, erano riprese cedute dall’emittente italiana e quindi nella legittima disponibilità dell’emittente cinese, e non riprese televisive dell’emittente italiana (ri)trasmesse illecitamente dall’emittente cinese.

Secondo l’informativa della Guardia di Finanza di Milano depositata in Procura, l’illecito penale era palese: “gli operanti accertavano che la violazione del diritto d’autore, documentato dal querelante anche in ragione delle particolari riprese effettuate con le telecamere Sky che valorizzavano la trasmissione dell’evento sportivo, era palese alla luce della comparsa sulle trasmissioni illecitamente ritrasmesse del logo Sky, che ne attestava inequivocabilmente la provenienza”.

Sul punto, al contrario, il GIP, ha precisato che “le immagini non recano, infine, il logo di Sky, cioè il segno distintivo che ne indica la provenienza da tale emittente. Va osservato che in ordine a questo aspetto appare essere incorso in una imprecisione il PM laddove ha osservato nella sua richiesta che sulle trasmissioni illecitamente ritrasmesse sarebbe presente il logo di Sky che ne attestava inequivocabilmente la provenienza. Tale circostanza non emerge dalla querela, né dai CD ad essa allegati, né dagli accertamenti della Guardia di Finanza. L’equivoco si deve verosimilmente alla presenza tra i documenti filmati allegati alla querela di alcuni stralci di trasmissioni Sky, regolarmente commentati in italiano, indicati dalla denunciante allo scopo di dimostrare che le riprese trasmesse dalle televisioni cinesi erano identiche a quelle da lei stessa trasmesse in Italia”.

Ultima notazione, sull’interessante differenza che, ancora una volta molto correttamente, il giudicante mette in risalto, fra le condotte di immissione nella rete telematica, fatto che dev’essere addebitato all’emittente cinese e che comunque sarebbe avvenuto in Cina, e le diverse condotte di diffusione, nel caso di specie, tramite semplice “link” che rinviavano ad altri siti dai portali sequestrati, ascrivibili agli indagati ma del tutto neutre rispetto alla norma penale contestata.

In conclusione, nonostante l’ampiezza e l’importanza dei temi sollevati dal procedimento penale avviato dalla Procura di Milano, che avrebbe potuto costituire una buona occasione per chiarire definitivamente alcuni aspetti non marginali relativi all’essenza stessa dell’opera dell’ingegno e della sua tutela, i presupposti che hanno dato la stura alle indagini, costituiscono solo il frutto di un errore marchiano, presumibilmente dovuto ad una disattenta e superficiale lettura valutativa delle fonti di prova da parte degli investigatori.

L’ultimo treno

30 novembre 2012 Lascia un commento

bastaaaaaaaaaaCome Bertoldo che non riusciva mai a trovare l’albero a cui impiccarsi, il Senato ha rinviato a martedì il voto di fiducia sul decreto che taglia i costi della politica, a causa di uno sciopero dei treni.
Sono venuto a capo per consentirvi di smaltire l’incredulità. Martedì cosa si inventeranno, un’indigestione di cozze collettiva? Oltretutto pare che la storia dello sciopero sia una scusa raffazzonata lì per lì, pur di nascondere i dissidi interni ai partiti e giustificare la più politica di tutte le arti: il rinvio. Ma come fanno a non capire che qualunque verità risulterebbe meno fastidiosa di quella penosa bugia? Un Paese dove un operaio scompare in mare durante la bufera cadendo da una gru su cui non doveva nemmeno stare, e dove una barista pendolare muore di stanchezza alla fermata della metro dopo essersi alzata per l’ennesima volta di domenica alle quattro del mattino, ecco, un Paese così serio e duramente provato pretende di non essere offeso dagli sfoggi di tracotanza di coloro che dovrebbero fornire il buon esempio. Questa era davvero l’ultima occasione per un colpo d’ala. Immaginate il presidente dell’assemblea Schifani che annuncia alle telecamere: «Abbiamo deciso all’unanimità di restare a Roma nel weekend per votare una legge tanto attesa dall’opinione pubblica. Il Senato rimane aperto sabato e domenica. Invito i cittadini ad assistere dai palchi al nostro lavoro». Non dico che si sarebbero guadagnati la rielezione, ma uno sconto del venti per cento sulle pernacchie sì. Così invece niente, neanche la mancia.
Massimo Gramellini

Meno male che Silvio c’è! Così adesso lo processiamo

25 novembre 2012 Lascia un commento

“Io pago tasse per milioni di euro all’erario e do lavoro a migliaia di persone”, affermava in quel di Vespa, l’ometto incatramato!! Anche l’Eternit (la multinazionale della morte), pagava le tasse e dava lavoro a decine di miglia di persone!! Peccato che con il tempo, ha dovuto chiudere i battenti per sempre, con tutte le immaginabili conseguenze sui lavoratori.
La fine di Berlusconi, coinciderà con il tracollo delle sue aziende che, come l’Eternit (ma a diversità di bersaglio), hanno devastato per un quarto di secolo, le menti dei cittadini italiani. La sua caduta sarà terribile, sotterrato dalle macerie del suo populismo e nanismo intellettuale.
La giustizia, imperturbabile, dovrà fare il suo corso, e la magistratura lo sta già aspettando al varco.
“Vado via da questo paese di merda, di cui sono nauseato”, diceva Berlusconi a Lavitola in una intercettazione del 13/07 /2011.
E no, cavaliere, adesso è troppo tardi! Doveva pensarci prima!! Non si sputa nel piatto in cui si è mangiato da sempre, fino ad abbuffarsi! Ha voluto la bicicletta? E adesso deve pagare il conto! Non finirà tutto a tarallucci e vino. I debiti vanno onorati.
Un’immensa folla la sta aspettando sulla linea del traguardo di Piazzale Loreto, per consegnarle la maglia nera. Un trofeo all’infamia e al disonore, più che dovuto, e che Lei, cavaliere Berlusconi, si é guadagnato sul campo in quasi un ventennio, per avere portato l’Italia sull’orlo della bancarotta e dentro un degrado etico e morale senza precedenti. Ci saranno tutti all’appuntamento del secolo perché nessuno, vorrà perdere l’ultimo atto di una delle più sconcertanti, inimmaginabili, inquietanti, volgari e paradossali sceneggiate politiche che mai un parlamento abbia potuto ospitare in tempo di pace.

Il cafone per eccellenza, archetipo di grettezza e smoderatezza, solo ieri, invitava tutti all’esercizio della sobrietà, e da puttaniere impenitente, senza pudore ne vergogna, affermava (nel pieno di una crisi mistica) di avere introdotto la moralità nella politica.
Da cattolico pluri/divorziato, poi, si erge a paladino della famiglia e a difesa della vita vegetativa ad oltranza. In veste di supremo e indiscutibile maestro di mistificazione, accusava il mondo intero di ordire complotti a suo discapito, e di avere pianificato campagne diffamatorie e menzognere, con il solo l’intento di detronizzarlo. Proprio lui, la cui vita di imprenditore prima, e di politico poi, è un bailamme di trame, congiure, macchinazioni e dossieraggi. Un sostenitore accanito di un liberismo trasfigurato in stalinismo che alla libera concorrenza, predilige le consorterie, logge e corporazioni. Insomma, un autentico cialtrone! Un “pacchista” disonorato che per salvarsi il culo, ha condotto l’Italia e gli italiani dentro un abisso senza fine.

Il “grande Silvio”, ometto attempato, che si trapianta e pittura i capelli di un nero corvino, anteponendo il trucco a una decorosa pelata – il Silvio che martirizza Vittorio Mangano, esalta la figura di Marcello Dell’Utri, fiducia Cosentino e delegittima le istituzioni! Il Silvio con l’eterno cerone, le scarpe rialzanti e le pompette stimolanti – il Silvio dalle mille cravatte a pallini e gli eterni doppio petto blu. Un vero trattato ambulante di psicopatia, frustrazione e perverso e morboso narcisismo.
Con quale dignità, un tale individuo, ha potuto rappresentare in nostro paese?
E’ stato dunque questo lo status symbol di virilità e machismo, autorità e potere nel quale si sono riconosciuti tanti italiani e italiane e che esibivano come modello di moderna cultura e punto di riferimento socio-esistenziale? Era questo, il salvatore della patria, l’uomo della provvidenza, il mito trascendente da sempre celebrato nell’immaginario degli italiani? O piuttosto, un millantatore da quattro soldi, un incantatore di serpenti e un traditore della patria – uno scaltro piazzista che nel mercimonio della dignità altrui, incarna l’archetipo della peggiore specie umana!
E non sono forse gli italiani, le vittime predestinate di un masochismo perverso che, come Seneca affermava, “godono nell’affidare il potere al turpe?”

Adesso eccolo li, quello del “partito dell’amore”, un uomo triste e solo, che nella luce soffusa della sua alcova, si appresta a calare il sipario sull’ultimo atto di una commedia, tragica e grottesca, fra i glutei in affitto di una giovincella depravata, nella spasmodica ricerca, di quell’orgasmo tradito che sancirà, per sempre, la sua sconfitta umana, morale ed economica.

Gianni Tirelli