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Il sud epicentro di una nuova rinascita

22 novembre 2010 9 commenti

Il nord dell’Italia, tanto decantato per benessere, crescita e civiltà, sarà il primo a pagare il pesante prezzo dello sviluppo industriale sul quale ha investito (in maniera approssimativa e irresponsabile), risorse e futuro. Quella che insistono a chiamare una crisi è, in realtà, l’inizio dell’implosione del capitalismo liberticida, che in pochi anni costringerà i popoli padani ad una migrazione di massa, unica nella storia di questo paese. Illusione, supponenza, arroganza e coltivata ignoranza, presto, dovranno fare i conti con la sopravvivenza relativa ad una povertà senza precedenti, paragonabile solo a quella di un remoto passato.
Già oggi, stiamo assistendo a questo processo degenerativo, di cose e valori, relativo alle malsane condizioni di vivibilità di un habitat, sempre più devastato dall’inquinamento, e a una decadenza etica e morale, a dir poco, sconcertante. Il puerile e infantile “rito dell’ampolla” diventerà, per tutti, il vergognoso ricordo di una grottesca messinscena carnevalesca.

Diversa e opposta è la situazione e condizione delle regioni del sud, dove l’ambiente, in gran parte ancora incontaminato, e scampato alla devastazione industriale, si prepara, a buon diritto, a essere l’epicentro della nuova riconversione, per una qualità della vita sostenibile ed eco-compatibile. Inoltre, questo territorio (e gli va dato merito), ha coltivato da sempre il valore della solidarietà e dell’accoglienza, ritenendoli valori fondamentali e fondanti del concetto di civiltà e, agli attacchi discriminatori e razzisti, ha anteposto la tolleranza, commiserazione e dignità.
Gianni Tirelli

La Silvia e l’Alberto (da Giussano)

28 aprile 2010 6 commenti

L’amore è cieco, sordo e anche un po’ coglione

Le quattro di un assolato pomeriggio di giugno, l’asfalto s’attacca alle scarpe e l’aria è quasi bianca per la luce salentina che sa essere meravigliosa e crudele.
I raggi del sole cadono ovunque, l’amaca sotto l’albero di fico di un piccolo giardino è protetta dalla verzura delle grandi foglie, al riparo dai dardi infuocati che diffrangendosi emanando un tepore meraviglioso. In compagnia del silenzio rotto da qualche cicala non é difficile rifugiarsi nella magia dell’assopimento che monta con la complicità del dondolio dell’amaca e di una generosa bottiglia di rosato fresco che ha accompagnato pecorino e fave fresche, tardive ma saporite.
Solo in casa, chi ama il mare ha preferito la spiaggia a due passi. Come si può abbandonare una simile postazione da sogno? Solo una adeguatissima giustificazione potrebbe imporlo.
Se squilla il citofono una volta immagini che siano i testimoni di Geova o un rappresentante della Vorwerk disperato. Te ne fotti, con tutto il rispetto per la missione di chi annuncia la fine del mondo e con la massima considerazione per chi deve guadagnarsi la pagnotta.
Se squilla due volte è il postino con una raccomandata di qualcuno che ti chiede soldi o il telegramma di un evento che comunque accadrà domani. Te ne fotti, lascerà la cartolina di avviso nella cassetta. Tutti possono attendere, figuriamoci i morti.
Se squilla tre, quattro, cinque volte è accaduto qualcosa che fa scorrere il sangue o, sicuramente, lo farà scorrere a breve. Tocca alzarsi e affacciarsi. Ti trovi due volti giulivi sul marciapiede, uno vagamente familiare e l’altro completamente ignoto e immediatamente antipatico.

Con la cortesia sconosciuta ai nordici ma propria del dna dei sudici, li invito ad entrare. S’avvicinano, riconosco finalmente la piccola Silvia, allieva prediletta di molti anni fa. Non è più piccola, è una splendida donna sorridente e luminosa anche nella luce squassante di un meriggio salentino.
Li faccio accomodare. Che sorpresa! Dopo tanti anni, e che sorpresa apprendere che Silvia non è più signorina. Partita per Milano a studiare, s’è sistemata lì e s’è pure avvinghiata con questo marcantonio dal corpo scolpito e lo sguardo da vitello miope. La signora Silvia.
Quante cosa da raccontare. È un viaggio di piacere per far conoscere il Sud al marito. Non c’è molto tempo ma basta per sapere che noi lì si sta bene, si lavora e tutto funziona, stiamo cambiando casa, ne abbiamo acquistata una in un quartiere più a modo e siccome la stanno ristrutturando noi siamo in giro. Dove si stava era bello ma pieno di negri e di islamici. Non è che siamo razzisti ma è che loro sono diversi da noi e se facciamo un figlio non può mica crescere in una scuola di africani.
Son contento. La Silvia (di là si chiamano con l’articolo) mi presenta il suo acquisto che impettito mi dice: “Sciono Albèeerto, faccio l’ingegniere. Silvia mi ha parlato tanto di lei …”
Sono contento per la Silvia soprattutto quando l’Alberto mi dice dei suoi genitori che abitano a Giussano, padani da sempre. Sono contento che l’Alberto mi guarda e dice che ragiono quasi come uno del nord.
Son contento davvero a sentire l’Alberto (da Giussano) che i suoi la Silvia l’hanno accettata da subito anche se era meridionale, che anche nei meridionali ci son tante brave persone come me.
E la Silvia che annuisce radiosa dimostrando ancora una volta che l’amore è cieco, sordo e anche un po’ coglione.

Che posso fare? Li invito a pranzo perfargli provare un po’ di sana cucina salentina.
Big Jim accetta subito e la Silvia a ruota. Se ne vanno lasciandomi solo a preparare l’incontro.
Penso al menù: ceci e curnali fritti, brasciolette piccanti alla cacciatora con i pampascioni, nell’attesa degli antipastini di sott’oli e sott’aceti con cavolo cotto al vapore.
La mattinata del solstizio d’estate è domenica, c’è uno scirocco denso come melassa, preparo a puntino, anche i crostini di pane. Le mie donne sagge non ne hanno voluto sapere di questa rimpatriata, lo jonio pugliese, nei pomeriggi di giugno sa ammaliare come nessuno
Il pranzo è gradito e vivace, l’Alberto mangia di gusto e pure la Silvia. Si parla di tutto. L’ingegniere racconta di sé e della Padania, mi parla dei “Mau Mau” dalla pelle color cioccolato, dell’Africa incivile e degli stupratori rumeni, degli islamici crudeli e degli zingari ladri. E Silvia invece ce l’ha con i cinesi che sono ovunque e sono tutti uguali. Mangiano di buon appetito i ragazzi nati in Italia e civilizzati in Padania, sicuro futuro per l’eurasia giapeta. Son quasi commoventi come si guardano negli occhi e si sorridono, il bauscia e la terrona. Mangiano e bevono di gusto mentre io pilucco, sono stanco ma felice. Un week end nato solitario lo trascorro in compagnia.
Ci spostiamo in giardino dopo il pranzo a sorseggiare una eccellente granita di caffé. I ragazzi son giovani, han fretta di tornare a casa dopo un bel pranzetto. Tanto più che l’Alberto è un campione padano, ha il celodurismo nel sangue.

Han fretta di congedarsi i piccioncini, li trattengo ancora un po’ e poi li lascio andare.
Rassetto il rassettabile, rimando alla calata della frescura il lavaggio delle stoviglie e mi rimetto sull’amaca. Mi sovviene “la vendetta da savana secca”: un elefante alza la proboscide ed emette barriti roboanti, l’erba secca e la carenza d’acqua lo rendono terribilmente stitico, e le spine d’acacia spesso non vengono macerate dall’intestino….

Immagino il cavolo, i pampascioni e i ceci che entrano nella fase digestiva. Me li immagino i volti dei pargoletti che arrossiscono, gonfi come cornamuse, ad emettere barriti di varia sonorità, solo che a differenza dell’elefante stitico la proboscide resterà immobile e il lamento, prodotto da ragioni opposte, sarà proferito da opposti pertugi.
E io sono li, sulla mia amaca dispiaciuto per il buco nell’ozono ma tanto felice perché, per una volta almeno, a questi leghisti di nascita e d’adozione gli ho fatto prender fuoco al buco del culo.
di Pino De Luca, 27 aprile 2010 www.aprileonline.info